Camminare in acqua per riconciliarsi con la terra

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Edoardo Cremonini, Marta Coluccio

Entrare nell’acqua di una piscina comporta immediatamente una sensazione di grande leggerezza; ritrovarsi immersi parzialmente con i piedi che riescono a toccare il fondo e parte del corpo fuori dall’acqua, ad esempio il viso, genera una sensazione particolare, nella quale il nostro corpo risulta avvolto piacevolmente in tutte le sue parti e i movimenti sono più lenti e controllati rispetto alla terraferma, potremmo definire questa situazione come Comfort zone.

camminata in acqua, esercizio fondamentale per la corretta ripresa di un gesto corretto del passo
Figura 1

L’acqua è un fluido che presenta caratteristiche diverse rispetto all’aria, nel quale l’uomo, animale terrestre, normalmente vive si muove ed effettua le sue attività. La conoscenza di  tali caratteristiche è fondamentale per comprendere quali siano i cardini su cui si basa l’utilizzo del mezzo acquatico ai fini riabilitativi. Generalmente, una volta immerso in acqua, in condizioni di galleggiamento statico, il 98% del corpo rimarrà sotto la superficie, e il 2% circa emergerà; tutto questo ovviamente può variare in relazione a composizione corporea, quantità di aria contenuta nei polmoni, stato di rilassamento o contrazione muscolare. E’ utile, inoltre, ricordare che la densità dell’acqua varia leggermente con la temperatura (all’alzarsi questa diminuisce leggermente). La capacità di galleggiamento che una persona possiede è individuale. Tecnicamente questi aspetti sono alla base di due principi fondamentali che determinano effettivamente il galleggiamento: Il principio di Archimede e la pressione idrostatica

Principio di Archimede 

Un corpo immerso parzialmente o totalmente in un liquido riceve una spinta verticale dal basso verso l’alto (esattamente opposta a quella di gravità) pari al peso del volume del liquido spostato. In pratica, il corpo umano subisce una “spinta di galleggiamento” che lo sostiene nell’acqua impedendogli di andare a fondo. Il corpo umano in acqua, non farà riferimento alla sola forza di gravità o forza peso (dall’alto verso il basso), ma anche e soprattutto alla forza (spinta) di galleggiamento (dal basso verso l’alto). La forza peso del corpo immerso sarà, quindi, in parte compensata proprio da questa spinta

La pressione idrostatica

La pressione che grava su un corpo immerso in un liquido é direttamente proporzionale al peso specifico del liquido e alla profondità alla quale il corpo si trova. Tale pressione viene esercitata perpendicolarmente in ogni punto della superficie corporea e aumenta con l’aumentare della profondità di immersione favorendo il circolo di ritorno ed andando ad agire positivamente su edemi e gonfiori. Insieme alla spinta di Archimede, realizza quella particolare sensazione di perdita di gravità che si avverte durante l’immersione. Il corpo umano in acqua, a causa della situazione di scarico gravitazionale descritta, pesa molto meno rispetto alla terraferma e questo fenomeno aumenta in relazione alla profondità di immersione, in definitiva, se si è immersi in acqua alta, senza toccare il fondo e quindi restando in qualche modo sospesi, il peso (e quindi il carico che subiscono le strutture corporee: ossa, articolazioni, muscoli ecc.) è quasi completamente annullato; se si tocca il fondo immersi fino al collo, si “pesa” circa il 90% in meno rispetto alla terraferma; se l’acqua arriva alla vita pesiamo il 50% in meno. Queste percentuali sono leggermente diverse in relazione al sesso e alla composizione corporea ma possono essere riassunte nella tabella 1.

E’ facilmente intuibile come queste situazioni abbiano una ricaduta applicativa immediata in campo riabilitativo. La spinta di cui parlavamo prima permette, ad una persona che normalmente è costretta a camminare con l’ausilio di due stampelle (a causa di un trauma), di deambulare liberamente in acqua alta, in questa maniera può recuperare precocemente un corretto schema del passo e ottenere una migliore rieducazione al movimento, avendo meno peso che grava 

sull’articolazione stessa. Parlando più semplicemente di dolore a una gamba o a un piede, è interessante notare come la camminata avvenga sulla terraferma con andatura “antalgica”, il nostro cervello, cioè, attua determinati compensi in modo tale da non evocare dolore durante la deambulazione e questo aspetto provoca inevitabilmente zoppia, entrando in acqua e caricando meno sull’arto dolente è possibile camminare sentendo meno dolore e quindi in maniera più corretta. E’ comunque utile ricordare che, nonostante questi parametri scientifici che influenzano il galleggiamento e il movimento in acqua, ognuno ha una propria acquaticità, intesa come confidenza e familiarità con il mezzo in cui si è immersi, che si costruisce con le proprie esperienze quotidiane e deve tener conto di una serie di aspetti psicologici che possono essere determinanti.

EFFETTI DEL MOVIMENTO E DELLA CAMMINATA IN ACQUA

Le caratteristiche dell’ambiente acquatico hanno conseguenze dirette sul comportamento sia statico che dinamico del corpo immerso parzialmente o totalmente in acqua, tali caratteristiche comportano degli adattamenti fisiologici e biomeccanici sull’intero organismo, per noi sarà fondamentale analizzare quelli maggiormente coinvolti nell’esercizio fisico, cioè il sistema locomotore (muscoli ed ossa) e il sistema cardiovascolare (non verrà trattato in questa sede), fondamentale per l’apporto ematico e di ossigeno necessario all’esecuzione del movimento. Gli effetti sul sistema locomotore, cioè su ossa, muscoli ed articolazioni sono ovviamente fondamentali per le finalità del lavoro di recupero e di rieducazione al cammino corretto. Il progressivo scarico gravitazionale, che aumenta con la profondità e la resistenza del mezzo producono una serie di conseguenze importanti nella proposta di attività acquatiche rispetto a quelle terrestri che possono essere riassunti nella tabella 2.

Entrando nello specifico, nel corso degli anni la camminata in acqua è stata studiata con diverse metodologie e tecniche e le conclusioni che si possono ricavare sono una minore attivazione della muscolatura interessata, ma anche un diverso impegno della stessa con differenti modalità di reclutamento. E’ interessante notare come ci siano alcuni muscoli che manifestino un’aumentata attività, in particolare i muscoli estensori dell’anca (bicipite femorale, grande gluteo e tensore della fascia lata), questo perché essendo muscoli stabilizzatori del cammino e della stazione eretta, sono chiamati ad un maggior impegno proprio per l’aumentata situazione d’instabilità creata dal mezzo acquatico e per la maggiore resistenza all’avanzamento. A livello articolare, invece, possiamo notare come l’anca sia più coinvolta nel cammino probabilmente per lo stesso motivo citato sopra, mentre l’articolazione del ginocchio sembra avere un minor ROM accentuando però il movimento di estensione, la caviglia, invece, riduce la flessione plantare. Vi è una differente lunghezza del passo, minore in acqua, anche in questo caso a causa della resistenza del mezzo e delle pressioni idrostatiche ai vari livelli. 

Con la camminata all’indietro vi è una maggiore attivazione della muscolatura paravertebrale lombare rispetto alla camminata in avanti in acqua e in generale, probabilmente per la continua ricerca del mantenimento dell’equilibrio postulare, l’impegno metabolico e muscolare nella camminata indietro risulta maggiore rispetto alla camminata in avanti. 

CAMMINATA IN ACQUA COME ESERCIZIO RIEDUCATIVO

Esistono innumerevoli condizioni per cui il nostro normale cammino viene compromesso (fratture, distorsioni, lesioni legamentose, anzianità, obesità) sulla terraferma. Queste condizioni comportano spesso l’utilizzo di stampelle come ausilio alla deambulazione, il ritorno alla deambulazione libera e al carico completo a secco deve venire introdotto gradualmente. Camminare nell’acqua, a diverse profondità a seconda del carico concesso, consente ad un soggetto che ad esempio cammina con due stampelle in seguito ad intervento di ricostruzione del legamento crociato anteriore del ginocchio di camminare liberamente in acqua alta, questo consentirà un recupero precoce dello schema del passo ed un recupero precoce della corretta deambulazione migliorando la flessione attiva del ginocchio durante la marcia e l’estensione attiva con la camminata all’indietro. Questa come tante altre condizioni di zoppia legate a traumi di vario genere, possono essere migliorate attraverso la camminata in acqua, pensiamo a tutte le problematiche che riguardano il piede e la caviglia, molto spesso la zoppia è dettata dal dolore durante la marcia sulla terraferma, lo stesso movimento in acqua risulterà molto più “leggero” e la persona sentirà molto meno il peso del proprio corpo gravare sulla zona dolente e potrà ripristinare precocemente una corretta deambulazione.

Figura 2

Lo stesso discorso può essere fatto per quelle situazioni in cui un’articolazione risulta bloccata oltre che dolente, pensiamo alle fratture a livello di femore, ginocchio, tibia, perone ecc..maggiore è la vicinanza della frattura con l’articolazione maggiore sarà il blocco articolare provocato. La camminata in acqua, grazie alla riduzione dello stress articolare, del gonfiore (funzione drenante dell’acqua) e quindi del dolore, favorisce movimenti più ampi rispetto a quelli che vengono concessi fuori dall’acqua. Questo aspetto consente di migliorare la propria fluidità articolare, cioè maggiore elasticità nei movimenti, uno dei cardini del lavoro in acqua a livello rieducativo.

La camminata in acqua è un esercizio fondamentale anche per le persone diversamente giovani, le quali con il passare del tempo possono sviluppare problemi di deambulazione ed equilibrio, anche senza particolari patologie, in particolare viene a mancare una corretta flessione del ginocchio durante la marcia, la classica andatura “strisciante” delle persone anziane le quali non si sentono sicure nel cammino e cercano di perdere meno contatto possibile con il terreno, favorendo in realtà cadute ed incidenti domestici; l’acqua aiuta a ripristinare questi aspetti, in quanto la spinta di Archimede favorisce la flessione di ginocchio e anca durante la  deambulazione. In generale ci sono molti soggetti che temono di cadere sulla terraferma e trovano l’ambiente acquatico molto più rassicurante. Le persone sovrappeso possono camminare ed effettuare esercizi in acqua con una frequenza cardiaca minore a parità di esercizio sulla terraferma e quindi affaticarsi meno, lo scarico gravitazionale, inoltre, provoca una sensazione molto gradevole durante la deambulazione in acqua.

CAMMINATA IN ACQUA CON AUSILI 

E’ possibile utilizzare diversi ausili durante la deambulazione in acqua per enfatizzare alcuni aspetti e concentrare il lavoro su alcuni distretti in particolare. La camminata con pinnetta (o pinna corta) è un esercizio molto utilizzato per le problematiche di ginocchio, caviglia, o più semplicemente per favorire e ricercare un miglior equilibrio. La camminata con la pinna, “costringe” la persona a flettere maggiormente il ginocchio durante la marcia, questo aspetto è molto importante qualora siamo di fronte ad un blocco articolare nel ginocchio e ricerchiamo una maggiore flessibilità. Vi è un maggior coinvolgimento del muscolo quadricipite, in quanto dobbiamo spostare più acqua durante la fase di volo del passo. A livello di caviglia, sempre per il maggior volume di acqua spostato, vi è un maggior coinvolgimento dei muscoli tibiali e peronieri oltre ai muscoli intrinseci del piede. Il piede, inoltre, viene maggiormente stimolato durante la marcia nella flessione dorsale e plantare, aspetto molto importante da recuperare in tutte le problematiche che lo riguardano. Utilizziamo una pinna sola quando la problematica riguarda uno dei due arti, ma possiamo eseguire una camminata con entrambe le pinne per migliorare l’equilibrio e il controllo in generale durante la marcia. L’esercizio di camminata con tavoletta sotto la pianta del piede è di fondamentale importanza per il recupero della propriocezione di piede e caviglia. L’esercizio, apparentemente semplice, consiste nel camminare in acqua, mantenendo sotto la pianta del piede la tavoletta che solitamente utilizziamo per nuotare, la quale, inevitabilmente, tenderà a galleggiare. Lo stimolo sia propriocettivo che muscolare a carico del piede e dei muscoli che lo governano è molto importante. Questo esercizio è di fondamentale importanza nel recupero di tutte quelle problematiche che riguardano l’arto inferiore, in particolare il piede, ma possiamo utilizzare due tavolette sotto entrambi i piedi e camminare, per avere uno stimolo su entrambe gli arti e lavorare anche su soggetti sani con problemi di equilibrio e controllo neuromuscolare. Un ultimo ausilio che andiamo ad analizzare è la idro cavigliera o polsiera, una resistenza galleggiante che andremo a legare intorno alla caviglia durante la camminata in acqua. La cavigliera, essendo galleggiante, favorirà la flessione attiva di ginocchio e anca durante la marcia, migliorando quella condizione, molto frequente soprattutto nelle persone anziane o sovrappeso, di camminata senza sollevare adeguatamente le gambe. Sono molto utili anche le proposte di andature specifiche, come ad esempio camminata laterale, sui talloni o sull’avampiede, come ulteriore stimolo in alcune patologie traumatiche dell’arto inferiore e come accompagnamento alla progressiva ripresa del cammino.

 

“Camminare nell’acqua per riconciliarsi con la terra” è una frase di una paziente pronunciata per caso, mentre camminava in acqua in seguito ad esiti di frattura di tibia e perone. Questa frase mi è rimasta impressa nella mente per anni in quanto esemplifica in maniera ottimale un concetto cardine della riabilitazione in acqua, lavorare in un mezzo facilitato, con parziale scarico gravitazionale, per dosare ed anticipare la ripresa del carico e recuperare precocemente le proprie funzioni e trasferirle il prima possibile sulla terraferma.

Bibliografia

  • Piero Benelli . Milco Zanazzo, Idrochinesiteapia, manuale di riabilitazione in acqua, edi.ermes 2015, pagg 16-31
  • Umberto Borino . Stefano Di Coscio, In Acqua, 450 esercizi di idroginnastica attiva per una moderna rieducazione motoria e sportiva, pagg 41-45
  • S.Brent Brotzman, Robert C. Manske, La riabilitazione in ortopedia, Terza Edizione, Paolo Pillastrini 2014, pag 498
  • Edoardo Cremonini, L’importanza dell’acqua nel recupero funzionale, 2013